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ROMA – I costi di carburante e pedaggio dell’auto aziendale possono essere disconosciuti dall’Agenzia delle entrate e recuperati a tassazione ove l’amministrazione, attraverso elementi presuntivi, dimostri l’utilizzo del veicolo, da parte del dipendente, per sue ragioni personali.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 26551 del 23 novembre 2020, ha respinto il ricorso del contribuente confermando e rendendo definitivo l’atto impositivo.
La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
La vicenda parte da un avviso di accertamento, emesso nei confronti di una spa esercente commercio di autoveicoli nuovi e usati, con cui l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione, tra l’altro, alcuni costi in quanto mancanti del requisito di inerenza.
Sia la Ctp che la Ctr rigettavano le doglianza presentate dalla contribuente in relazione al recupero dei predetti costi.
Col successivo ricorso per Cassazione la contribuente denunciava, tra l’altro, violazione dell’articolo 109, comma 5, Tuir in relazione all’indeducibilità dei costi (pedaggio, telepass e viacard, e carburante) per i veicoli aziendali.
Nel rigettare il ricorso la Cassazione ricorda gli ultimi approdi giurisprudenziali in tema di inerenza dei costi all’attività di impresa. Secondo tale orientamento il requisito dell’inerenza attiene alla compatibilità, coerenza e correlazione degli stessi non ai ricavi in sé, bensì all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi (Cassazione n. 902/2020).
Quanto all’onere probatorio, la prova dell’inerenza dei costi quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio, incombe poi sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (Cassazione n. 18904/2018).
L’onere del contribuente di dimostrare l’inerenza dei costi sostenuti sussiste anche per i beni “normalmente necessari e strumentali” allo svolgimento dell’attività di impresa: peraltro, l’assolvimento di tale onere è, in detta ipotesi, semplificato in quanto, a fronte degli elementi di fatto addotti dal contribuente, l’Amministrazione finanziaria può contestarne soltanto la carenza o insufficienza ovvero addurre l’esistenza di circostanze di fatto idonee, in concreto, a inficiare gli stessi (Cassazione n. 33504/2018).
Nel caso di specie, secondo la Cassazione, è risultata corretta la procedura con la quale le Entrate hanno disconosciuto i costi di pedaggio e carburante per l’uso di un mezzo aziendale, posto che neppure è contestato che il socio, residente in altra città e responsabile di sede, copriva la tratta da casa all’ufficio e ritorno ogni giorno e non disponeva di un mezzo proprio. Per la Cassazione da questo dato deriva l’inferenza dell’utilizzazione del veicolo per ragioni personali, fra l’altro non contrastata dalla difesa, che non ha introdotto prove idonee a dimostrare l’avvenuto spostamento con altri mezzi, né dall’avvenuta concreta utilizzazione, per le medesime tratte, del bene per le finalità dell’impresa. Anzi la contribuente si era limita a dedurre le caratteristiche del mezzo e la tipologia dei costi contestati.
Ulteriori osservazioni
Sul punto si ricorda che in relazione all’uso strumentale esclusivo del veicolo aziendale nell’attività propria dell’impresa, il legislatore ha previsto diverse regole di deducibilità, che variano in funzione sia del tipo di veicolo sia dell’uso nell’esercizio dell’impresa, stabilendo un’integrale deducibilità nel caso in cui la stessa attività propria dell’impresa non possa prescindere dal mezzo di trasporto. Nell’articolo 164 Tuir, lettera b), invece, si fa riferimento ai veicoli che sono utilizzati nell’esercizio dell’impresa (ma non nell’attività propria dell’impresa), arte o professione, senza alcun riferimento espresso in merito all’esclusività o meno dell’utilizzo (e quindi a un eventuale uso promiscuo) del veicolo nell’esercizio dell’impresa, arte o professione.
Secondo i giudici per la deducibilità integrale dei costi il fattore scriminante è l’indispensabilità dei veicoli per l’esercizio stesso dell’impresa, ossia la circostanza che l’attività dell’impresa senza quei veicoli non possa essere esercitata, altrimenti si presume l’utilizzo promiscuo.
L’articolo 164, comma 1, lettera b-bis), Dpr n. 917/1986 dispone che le spese relative ai veicoli dati in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta sono ammesse in deduzione nella misura del 70% del loro ammontare.
L’attribuzione del veicolo a un dipendente dev’essere provata con certezza in base a idonea documentazione, ad esempio con la previsione in un verbale societario, con la sottoscrizione di una scrittura privata con data certa, oppure prevedendo un’apposita clausola nel contratto di lavoro.
La deducibilità integrale delle spese relative alle autovetture aziendali presuppone la prova, da parte del contribuente, dell’esclusiva strumentalità del bene all’esercizio dell’impresa (Cassazione n. 31031/2019).
In senso conforme alla pronuncia in commento si segnala Cassazione n. 31423/2018 secondo cui per i veicoli aziendali c’è la deducibilità solo se si prova che la vettura è utile allo svolgimento dell’attività d’impresa. Nel caso di specie è stata censurata la conclusione della Ctr che aveva desunto l’inerenza dei detti costi, oltre che dalla disponibilità delle autovetture da parte della società contribuente, dalla generica destinazione funzionale delle stesse al “trasporto delle persone” (annoverando la società contribuente, nell’anno accertato, un amministratore delegato, un responsabile amministrativo e altri diciotto dipendenti), senza argomentare alcunché in ordine alla concreta destinazione di queste ultime in relazione allo svolgimento dell’attività d’impresa.
Ne deriva che la deducibilità dei costi per le autovetture aziendali è strettamente collegata al fatto che le spese sostenute siano inerenti alle attività d’impresa, ma anche alla possibilità di dimostrarlo.